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Il SIMU-psicologo: analisi di una professione in fasce

Michela Bernardini
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Il ruolo dello psicologo nei centri di simulazione fra processi cognitivi ed emotivi per migliorare scenario e debriefing.

La professione psicologica è giovane ed in continua evoluzione, attenta ai cambiamenti e alle richieste dei destinatari dei suoi interventi. Il suo contributo si rivela utile ed efficace in contesti numerosi e altamente diversificati. Tuttavia, non siamo ancora del tutto abituati a concepire la presenza di uno psicologo all’interno di un centro di simulazione (CS) per professionisti sanitari. La psicologia è una disciplina sempre più presente nella simulazione, ma non esiste, ad oggi, una sua carta d’identità. Se parliamo di apprendimento dell’adulto, di soft skills, lavoro di gruppo, leadership, consapevolezza situazionale e di debriefing, non possiamo che fare appello alla psicologia per osservare, conoscere, capire i processi cognitivi, emotivi ed esperienziali coinvolti. Eppure, nonostante questa implicita richiesta di psicologia nella simulazione, sono ancora pochi gli psicologi che trovano un costante impiego nei CS, e nella maggioranza dei casi si tratta di prestazioni occasionali o consulenze.

Gli psicologi che si occupano di simulazione possono provenire da percorsi accademici differenti: attualmente in Italia, infatti, non esiste una specializzazione o un percorso di studi codificato e standardizzato. A pensarci bene non esiste neanche un nome specifico: noi l’abbiamo chiamato “SIMU-psicologo”. Per essere concreti e immediati.

Dunque, quale potrebbe essere il suo ruolo in un CS? 

La psicologia nella simulazione interviene attraverso due anime: la ricerca scientifica e la formazione, non solo per indagare e osservare gli esiti formativi, ma soprattutto per promuovere il benessere al lavoro, in equipe, e per supervisionare i processi di apprendimento. In qualità di professionista della salute, lo psicologo ha attività che vanno nella direzione dell’analisi dei bisogni formativi di chi si appresta ad essere (o chi già è) un professionista della salute, e dello skill training di competenze sociali: quest’ultime si sono rivelate di fondamentale importanza particolarmente all’interno dei gruppi di lavoro, e soprattutto nei contesti ad alta criticità dove sono richieste abilità trasversali. Ecco perché si fa sempre più attenzione al doppio binario della formazione sanitaria, ossia allo sviluppo delle abilità procedurali (ex competenze tecniche) e quello delle abilità comportamentali e sociali (ex competenze non tecniche), che diventano parte integrante del percorso formativo delle professioni d’aiuto. Facciamo riferimento a capacità di problem solving, di stare in gruppo, di lavorare in e con il gruppo, abilità di comunicazione funzionale, di decision making, di leadership, di gestione dello stress. Ma è davvero possibile apprendere queste tipologie di skills? È relativamente facile insegnare ad un giovane tirocinante a realizzare dei punti di sutura, ma molto più difficile imparare a comunicare efficacemente con i suoi colleghi. 

Nell’immaginario collettivo la figura della/o psicologa/o è investita di compiti importanti: sbrogliare situazioni, risolvere problemi, trovare soluzioni, capire la gente, come se la semplificazione dei problemi fosse la soluzione. In effetti molte richieste che una/un psicologa/o in un CS si trova ad accogliere riguardano: la gestione di un debriefing difficile, come si migliorano le abilità socio-comportamentali, come gestire le emozioni quando emergono nei debriefing e come si comunica in situazioni difficili. Lo psicologo può aiutare a comprendere quali e come sono organizzate le proprie skills in un contesto protetto dove è possibile mettersi in gioco, sbagliare, sperimentarsi ed osservarsi. In un CS questo è possibile attraverso l’apprendimento basato sull’esperienza diretta e sulla conoscenza di sé, quella che Quaglino definiva “auto-formazione dell’adulto”, ossia la formazione rivolta non tanto all’apprendimento di nuove nozioni, bensì alla conoscenza del proprio sé interiore, divenuto in tal modo oggetto stesso dell’iter formativo. La presenza dello psicologo nella simulazione a volte è il pretesto per trovare un tempo per fermarsi e dedicarsi all’ascolto, favorendo un approccio interdisciplinare che fornisca gli strumenti e lo spazio necessari per comprendere tanto la malattia quanto la salute, tanto l’“errore” quanto il “successo-normalità”. Spiegare cosa fa uno psicologo in un CS è dunque un compito davvero difficile, perché a volte è un lavoro invisibile, trasparente ma come l’aria… necessario, in quanto la salute e la sicurezza dei pazienti passano attraverso il benessere di chi si prende cura di loro. 

In conclusione, oggi è opportuno chiedersi qual è lo stato dell’arte della professione psicologica impiegata nella formazione sanitaria e, nello specifico, all’interno dei centri e dei laboratori di simulazione. A tal proposito, SIMNOVA, in collaborazione con la Scuola di Psicologia della Salute dell’Università degli Studi di Torino e il Centro di Simulazione di Lugano, sta per lanciare una survey, rivolta a tutti i CS affiliati alla Società Italiana di Simulazione in Medicina, al fine di realizzare sia una fotografia dello stato attuale sia una riflessione sul contributo della Psicologia nei Centri di Simulazione.

Stay tuned! 

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